Io la chiamo ragazza, ma mica è una ragazza, quella volta che la vidi, calma, a me sembrò calma, sedersi davanti una macchina a Roma in via del Corso seguita poi da altre numerose persone fino a bloccare il traffico. Automobilisti increduli, bus di linea, taxi e poi la polizia, increduli davanti a tanta determinazione.
Quella che io chiamo la ragazza e i suoi amici stavano facendo una manifestazione contro il decreto di riordino della Croce Rossa, varato da un governo Berlusconi morente nell'ultima seduta del consiglio dei ministri. C'era un problema: persone col posto di lavoro a rischio, servizi a rischio. Nessuno ne parlava. La ragazza si mise le gambe in spalla e le posò davanti ad una macchina incolpevole, un automobilista sgomento. La polizia, come spesso in questi casi un po' prepotente un po' dialogante, a chiedere i documenti, un po' per dovere un po' per intimidire. Le persone sedute per terra, qualche clacson in lontananza nella mattina grigia, a gridare non si spara sulla Croce Rossa. Passava per caso Di Pietro, ancora non lambito dagli scandali di alcuni membri del suo partito, trattativa con i poliziotti, restituiscono i documenti si toglie l'intralcio alla circolazione. Si va in conferenza stampa. La ragazza, io la chiamo ragazza ma è una madre di famiglia, ha rischiato una multa, quasi un anno di stipendio, il fastidio di essere portata in questura, magari un processo per manifestazione non autorizzata e blocco stradale, proprio per una conferenza stampa. Un grappolo di secondi in una qualunque televisione per dire delle proprie ragioni, delle ragioni collettive, di un posto di lavoro a rischio, di una operazione, in questo caso sulla Croce Rossa, dai tratti speculativi. Dopo tutto, tutti a compulsare le agenzie, guardare su internet, aspettare il giorno dopo se i giornali avessero riportato il fatto e le ragioni che lo hanno provocato. Ho parlato di questo caso, potrei parlare di altri episodi di lotta sindacale, potrei parlare di quelli che sono saliti su una gru per far conoscere la loro condizione e la lotta per cambiarla. Potrei parlare di quelli che sono saliti sui tetti e di quelli che sono scesi in fondo alla terra per far emergere un mondo destinato a sparire. Tante persone, ragazzi e ragazze, ma mica perchè sono giovani, no, spesso sono padri e madri di famiglia, fanno di tutto per avere accesso all'informazione. So per certo che ciascuna delle persone che ha fatto e farà le cose che ho descritto, sarebbe stata felice di andare a spiegare le proprie ragioni in televisione, so per certo che avrebbero accettato il confronto con chiunque, giornalisti o controparti, politici o amministratori. Lo so, non c'è neanche bisogno di spiegarlo. Invece una spiegazione la richiederebbe ciò che succede in questi giorni di campagna elettorale.
Penso alla tarantella di Beppe Grillo che prima dice si, poi dice no, poi si fa rincorrere, poi insulta i giornalisti e le televisioni che vorrebbero chiedere delle sue ricette per il governo del paese. Il mondo si è quindi rovesciato? I vecchi direbbero: chi c'ha il pane non ha i denti. Chi ha i denti, non vuole il pane. Come mai?
Certo fra lui e i suoi ci sarà stato un approfondimento dottissimo sulla natura dei mezzi di comunicazione di massa, sulla televisione che rende tutti uguali, sui giornalisti infami. Sono sicuro che sarà così, quando vai in televisione diventi un mito o cessi di esserlo. Oggi Beppe Grillo è un mito, senti persone, persone qualunque che ti declamano: chissenefrega del suo programma, un vaffanculo seppellirà tutti i mali del nostro paese. Per Grillo, andare in televisione, spiegare con tre grammi di dettaglio le ricette che declama nei comizi, romperebbe l'incantesimo.
Quelli che conosco io pagherebbero per un contraddittorio, un amico mi ha raccontato che in certe assemblee di lavoratori ad un certo punto, qualcuno, inevitabilmente, presenta la proposta di comprare una pagina di giornale tanta è la sete di dire, di raccontare, di spiegare. Sono convinti i lavoratori delle loro ragioni, non temono di esporle, non temono il contraddittorio. I lavoratori non vivono col mito, non vivono del mito, vogliono trovare soluzioni, vogliono spiegare le loro ragioni, sono convinti, vogliono convincere. I lavoratori.
Grillo?
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fausto (martedì, 19 febbraio 2013 19:43)
Grillo mi è antipatico. Da anni. Da una volta, 8 anni fa, in cui spesi dei soldi per vedere un suo spettacolo e me ne tornai a casa nauseato dalla sua arrogante dialettica, dalla sua rumorosa e rozza esemplificazione della realtà, la cui minima comprensione richiede invece approfondimento e dunque studio e dunque pazienza. È, secondo me, una persona sgradevole e un leader politico dannoso per il miglioramento del dibattito sociale (politico). E niente affatto "nuovo": dei suoi metodi di propaganda politica unilaterale e senza contraddittorio la storia ce ne fornisce svariati esempi. L'ex comico ama affermare e non dialogare.
Si, mi è davvero molto, molto, antipatico. Speriamo che tra i suoi futuri parlamentari vi siano persone preparate.
Luxemburg (domenica, 03 marzo 2013 11:55)
Quando sento parlare di "lavoratori", come una categoria logica, un insieme uniforme della società, mi viene da pensare che sta perpetuando un falso ideologico, una mistificazione che nel migliore dei casi è frutto di una semplificazione distratta, superficiale.
Non ci porterà lontano continuare su questa china.
I lavoratori comprendono almeno due grandi settori distinti: i lavoratori del pubblico e i lavoratori del privato.
Non possono esistere regole e lessici che indifferentemente afferiscono ad entrambi i due settori. Solo infondate applicazioni di principi gemmati attorno ad idee di universalizzazione delle conquiste della sinistra negli anni '60 e '70, hanno consentito di perpetrare l'errore.
Del resto un operaio alla catena di montaggio, od in agricoltura, difficilmente potrà sentire di condividere alcunché con un usciere di tribunale o un bidello.
Oramai sono rimasti solo i sindacati - che certamente conoscono bene la differenza, quindi colpevolmente coscienti - ad inveterare questa che, ripeto, è una intollerabile mistificazione.
Ivan (lunedì, 04 marzo 2013 10:46)
Ho letto il commento di Luxemburg e sono daccordo questo che dice è in parte vero, ma solo in parte. Il sindacato ha contribuito nel bene e nel male a scrivere la nostra storia. Oggi sono appiattiti su una linea di pura conservazione del potere. Vivono della rendita di posizione.
Però anche va detto che tutta la società italiana vive una specie di situazione anomala. Ognuno difende il proprio piccolo interesse a scapito del progresso e del bene comune.
Pensa a quanti prelati ed ecclesiasti ci sono, a quanti militari, al personale delle assicurazioni, delle finanziarie. Ci sta una intera popolazione che frena ogni tipo di innovazione per non perdere il proprio tornaconto.
Il discorso è semplice. Per far funzionare le cose parte del PIL dovrebbe essere tolto agli sprechi ed alla gestione clientelare in mano ai politici per destinarlo al miglioramento delle strutture pubbliche. Sembra un paradosso, ma non lo è. I sindacati principali sono parte integrante di questo sistema.
Ciao