Il polo museale di Venezia, un buco senza menta intorno. - di Metis -

La vera immagine di Venezia si coglie dai finestrini del treno che viaggia sul Ponte della Libertà. Una strada che corre in mezzo alla laguna, isolotti, gabbiani, pali piantati nell’acqua, e ancora fabbriche, ciminiere, containers, navi, un grande parcheggio, e finalmente le prime case intorno alla vecchia stazione ferroviaria di Santa Lucia.

 


Venezia è un agglomerato di calli, ponti e canali, case che si sbriciolano senza vedere la luce del sole, chiese e palazzi monumentali. Una città-museo a cielo aperto, con un passato storico glorioso e un presente ricco di contraddizioni.

Qualcuno pensa che il turismo sia l’unico mezzo di sostentamento per tenerla in vita, e per questo la espone senza pietà all’assalto indiscriminato delle grandi navi da crociera che scorazzano nel Canale della Giudecca, o agli “investimenti” dei cosiddetti magnati stranieri, sbarcati stabilmente nei palazzi cittadini con le loro collezioni di arte contemporanea o desiderosi di costruirsi il proprio grattacielo-mausoleo multifunzionale, spacciandolo per opportunità straordinaria di riqualificazione urbana e nuova occupazione. Con la benedizione delle istituzioni locali e nazionali.

Venezia è diventata terra di conquista proprio perché le istituzioni statali sono inadeguate e latitanti. Nei casi peggiori addirittura ammiccanti.

Il Polo Museale di Venezia negli anni si è trasformato nello specchio vivente di questa incapacità di fare cultura sostenibile e consapevole, diventando a sua volta terra di conquista per dirigenti che si sono appropriati dei beni pubblici senza essere in grado di fronteggiare i crescenti problemi di gestione delle risorse umane e finanziarie, di valorizzazione del patrimonio artistico e delle raccolte permanenti dei suoi musei, che privati di una politica d’indirizzo arrancano e perdono visitatori, attratti dalle maxi-mostre di tendenza.

Quanti di noi conoscono i finissimi pezzi del Museo d’Arte Orientale? E la collezione di “primitivi” e di “fiamminghi” della Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro? Per non parlare della statuaria antica del Museo Archeologico Nazionale, i cui esemplari più pregiati provengono da un’altra collezione illustre, quella della famiglia Grimani proprietaria dell’omonimo palazzo cinquecentesco divenuto museo statale da qualche anno. Molti conoscono invece le Gallerie dell’Accademia e le vicende interminabili del cantiere delle “Grandi Gallerie”, che come molte grandi opere si trascina da anni e condiziona pesantemente la fruizione del museo da parte del personale e dei visitatori, costretti a convivere quotidianamente con gli imprevisti e i disagi dei lavori in corso d’opera.

La chiusura di alcuni musei nei giorni festivi ha conquistato le pagine della stampa come se fosse un evento negativo di eccezionale portata, quando invece è la naturale conseguenza di una penuria di organico che si riduce in maniera fisiologica con i pensionamenti senza essere compensato, e non basta più per sostenere l’apertura continuativa di cinque sedi.

Cinque sedi fisicamente distaccate, ma facenti parte di un sistema museale integrato che si definisce Polo, e pertanto è tenuto a garantire l’autonomia finanziaria facendo quadrare i conti con gli incassi.

Come si può fare? Potenziando la qualità dei servizi offerti al pubblico sulla base della professionalità. Variando e diversificando gli orari di apertura in maniera intelligente. Insistendo sulla promozione per conquistare visibilità. Portando avanti un’operazione di coordinamento con la Fondazione Musei Civici.

E soprattutto investendo sulle potenzialità del personale interno per l’attività didattica, la formazione, la catalogazione informatica e la comunicazione attraverso una valutazione limpida di curricula e titoli. In questo senso deve essere ripensato anche il rapporto con i servizi aggiuntivi, che rischia di vincolare risorse finanziarie a lungo termine senza garantire adeguati standard di qualità.

Serve un piano industriale, come ebbe a dire un sindacalista prestato ai beni culturali. Si può aggiungere che sono indispensabili impegno e conoscenza, e tempi certi di attuazione di una politica virtuosa. Occorre un’opera di disinfestazione per i tarli del patrimonio pubblico. Perché a differenza delle caramelle Polo, questo non è un buco con la menta intorno.

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