Avremmo voluto non doverlo fare, amico mio. Ti avremmo tenuto con noi, ancora, nella speranza egoista che fossi tu a decidere di partire. Ci siamo dovuti arrendere all'evidenza dei tuoi neuroni felici catturati dall'ipossia, delle crisi respiratorie che ormai squassavano il tuo corpo, dopo avere preso la tua anima. E così ti abbiamo accompagnato, dolenti, al tuo ultimo viaggio.
E adesso penso sarebbe bello .
immaginarti in fila, impaziente, ad aspettare che qualcuno si occupi di te, qualcuno che ti conosca, che ti aiuti a riprendere a correre senza il peso inutile del corpo. Sarebbe bello.
Mi consolo pensandoti polvere dell'universo che ha illuminato la nostra vita per sedici lunghi e belli anni.
Grazie amico mio.
Si, lo so. È tristissimo. Bello ma tristissimo. Mi è venuto e l'ho scritto la mattina dopo che è andato via, quando ho realizzato il distacco, il non vederlo per casa. E non ho avuto il coraggio di postarlo, di condividere la mia disperazione per la perdita.
E ho fatto bene. Il mio cane non lo potevo ricordare solo così, non rendeva il tutto, solo la sua fine ed il mio dolore.
Io ho imparato molto dal mio cane.
Intanto che è stato mio quanto io sono stato suo. I cani sono esseri che si modellano su te stesso e ti modellano su di loro, adorano la simbiosi.
Il mio è venuto da noi per caso, ospite che inizialmente indesideravo, imposto da una figlia impaziente e da una compagna acquiescente. Figlio di strada, dotato dell'intelligenza tipica di generazioni di randagi e costruito fisicamente come un puzzle, un assemblaggio di pezzi non tutti venuti benissimo.
Un rapporto contrastato, costruito. E alla fine mi si è modellato addosso.
Sono diventato il suo tramite per la socialità ed alla socialità mi ha costretto. Io, venuto via da un paese perché mi pareva di girare nudo ed inebriato dalla clandestinità urbana. Invece lui mi ha fornito quella riconoscibilità strapaesana sino ad allora nascosta nell'anonimato del privato, individuata tramite il suo nome. Ed ha iniziato a costruirmi la quotidianità, il tabaccaro, il barista, il giornalaio e la villa, luogo di canari e di socialità urbana. Scandendo i miei ritmi quotidiani ed il rapporto con il territorio circostante la mia abitazione.
E mi ha insegnato a giocare. Il gioco per i cani è un vero esercizio intellettuale, l'esplicazione complessa di ruoli e regole, apparentemente ripetitiva, in realtà finalizzata a saldare i rapporti nella gioia della rincorsa ad una palletta, nella danza che precede il lancio, nella sfida di velocità.
E tanto altro.
Potrei dire tanto di più di un essere che mi è stato accanto, sempre, per tutta la sua vita.
Si, lo so. Può sembrare strano, in fondo era solo un cane. Ed io solo uno che antropomorfizza un rapporto con un altro animale.
Ma, credetemi: grazie al mio cane sono diventato uomo
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stefano (martedì, 19 marzo 2013 14:15)
Ho sempre avuto cani e come dici tu i cani hanno avuto me. Ho dentro casa Trudy, vecchiotta cagna, che effettivamente pare il mio stampo (a partire dalla innata pigrizia cronica, io la chiamerei più arte dell'ozio....). Da pochi giorni si è aggiunta una nuova entrata (Costola, nome per me osceno datole da mia figlia...)e sono ritornato indietro nel passato, con Trudy, si ricomicia a raccogliere piscio e cacca ovunque, gli si dice di no, la si porta fuori per farle capire che non deve farla fuori in casa mentre continua a pisciarti addosso...Potrei elencare altre mille cose e tu le sai tutte. Trudy ha 15 anni, lo so anche io che un giorno, non molto lontano (speri sempre che con il tuo cane siano sbagliati e che campi 80 anni...) se ne andrà e sarà un dolore immenso. Poi vedo Costola e penso: in fin dei conti è come se Trudy rimanesse per molto altro tempo ancora. Lo so, ogni cane è diverso, il "tuo" cane è diverso dagli altri, la nuova arrivata non potrà mai sostituire nessuno di quelli prima, ma, ci sta un ma, sono uguali in una cosa fondamentale, unica e stupenda: sono cani, non serve dire altro.
Nonpercaso (martedì, 19 marzo 2013 15:36)
Grazie. Il tuo commento è bellissimo e assai consolatorio.
nik (martedì, 19 marzo 2013 16:14)
Ho accompagnato il cane di mio padre nella sua ultima passeggiata a dicembre, ma era come se fosse anche mio, e l'ho pianto come uno di famiglia.
Quando è morta la mia pirma cagnetta, Kelly, io ero dall'altra parte del mondo, e non me lo sono mai perdonato.
Invece il fatto di essere lì accanto a lui, accarezzarlo mentre si addormentava, mi ha consolato, mi ha fatto pensare che siamo stati insieme fino alla fine; per anni la mia kelly ho sognato di averla abbandonata. Adesso ho un nuovo cucciolo, ma la recente morte dell'ultimo e quella più antica di Kelly non sono dimenticate. Rivedo i loro musi, le loro espressioni e tutto quello che mi hanno insegnato, ognuno, a suo modo, diverso dall'altro. Un cane è per sempre, anche nella memoria. Grazie.
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