Il lavoro é tornato al centro dell'interesse.
Quasi quasi mi hanno convinto. Ho passato il mio periodo di vacanza persino preoccupato di essermi perso qualcosa. Annunci a raffica, il governo impegnato, i beni culturali, i precari, i fondi europei.
Cazz. Ed io convinto che agosto fosse il mese dei misfatti, dei delitti che riempiono i vuoti di cronaca, e di quelli inconfessabili, che profittano delle assenze.
Invece guarda che ti rovesciano lo schema, lanciano un grande piano del lavoro, i media rilanciano, tu stai al mare, nessuno legge un
cazzo e intanto il messaggio
é passato.
Tu stai al mare e il governo lavora. E tra una nuotata e l'altra ti arrivano echi sempre più ravvicinati di speranze mai sopite, persone che hanno la vita riempita dalla precarietà ti contattano, ti chiedono chiarimenti.
Quasi quasi non li volevo leggere questi decreti, mi tocca sempre la durezza del realismo, la traduzione di norme che ormai mi paiono familiari, leggi crudeli ripassate e richiamate, che devo chiarire, spiegare.
Mi riservo. Non posso affossare speranze, distinguere tra i tanti precariati i pochi prescelti, contraddire dal mare gli annunci agostani.
E aspetto settembre, il mese dei ripensamenti.
Non c'é il lavoro in questi decreti, solo qualche misura insufficiente, qualche altra contraddittoria. Poche assunzioni vere. Altre rinviate a futuri migliori. E categorie di precariati escluse, ancora. E tanti, troppi annunci.
Quando penso al precariato mi viene in mente la generazione TrentaQuaranta. I TQ sono i primi veri figli del booom cresciuti da quelli che hanno cambiato il mondo. Famiglie che si mononucleizzavano, agi relativi, buone possibilità formative, cultura liberal e antagonista. E che adesso sperimentano la fine del welfare, lasciati soli a combattere con improbabili partite iva, sbattersi tra co.co.co, week end, sharing, interinali, a chiamata, a voucher. Che aspirano ad un tempo determinato, che sono sempre ai margini dei garantiti, i QuarantaSessanta, che tendenzialmente detestano, quasi sempre ricambiati.
Uno spaccato delle nostre miserie, un pezzo di precariato che portiamo incollato addosso, nostro malgrado. L'immediata misura dei nostri fallimenti.
I TQ sono ancora fuori. Il governo dei larghi annunci ha poco per loro. Una percentuale sui futuri concorsi solo ai tempi determinati, niente per i co.co.co, le partite iva false e solitarie. Che non hanno diritto alla speranza. Che invece viene assegnata a pochi vincitori di concorsi annosi a cui si promette il finalmente dentro, pochi baciati in ritardo dalla sorte.
Ecco cosa mi tocca tradurre: un insieme di norme sfilacciate, rattoppate, tra le cui pieghe ritrovare qualcosa, segni di timidi ripensamenti che si vorrebbero anticiclici. In realtá pochissimo per meritare i titoli pomposi attribuiti, ben distanti da un piano del lavoro immaginato per riconoscere l'emergenza della precarietà. Nel contempo statistiche impietose ne segnano il trionfo.
Giá il governo, impegnato a garantire il suo di precariato, sembra disporre e proporre, mentre io colpevole me ne sto al mare. E il messaggio passa. Anzi qualcuno grida e ottiene trionfante una riduzione dei posti per i precari. Largo ai concorsi pubblici, che diamine. Lo sanno tutti che se lavori per la PA come minimo sei raccomandato, a maggior ragione se sei precario. Poco importa se i concorsi pubblici non si fanno, non si può. Non rientrano nel pallottoliere.
E nel caldo agosto si consumano delitti che nessun giallista potrá mai raccontare.
Scrivi commento