Qualche considerazione sugli scontri all’Università La Sapienza gli studenti e l’ipocrisia della green economy: Conferenza nazionale La natura dell’Italia – biodiversità e Aree protette, la Green economy per il rilancio del Paese – Roma 11 e 12 dicembre
E’ una strana sensazione trovarsi per la prima volta dall’altra parte, nella monumentale Aula Magna della Sapienza l’Università di Roma , dalla parte di chi sta dentro e non dalla parte di chi è fuori a contestare. E’ una sensazione di disorientamento nutrita di disillusione e di una progressiva perdita di senso di quell’impegno agito “non per riordinare il mondo, per rifarlo, ma per amarlo”
E sotto l’affresco di Sironi tutto ispirato a una visione epica della Storia, in
cui Italia fascista si ergeva austera
fra le Scienze e le Arti, affresco successivamente defascistizzato quando fu evidente, a causa delle macerie e dei disastri della seconda guerra mondiale, che quei miti grandiosi erano costruiti sulla propaganda e sul vuoto trionfalismo, a poco a poco si sono spenti e si sono allontanati gli scoppi e i rumori degli scontri. Tutto sommerso da una ritualità insopportabile, dentro e fuori.
Il popolo dei parchi, degli scienziati, dell’amministrazione, della politica dentro, a ripetere parole che nonostante le nuove coloriture “green” rimangono sempre le stesse, il popolo degli studenti fuori ad inscenare la protesta, una sorta di rituale utile solo, forse, a ribadire l’insostenibilità di una condizione di precarietà e di povertà.
Ma come se ne esce?
E’ utile la protesta per non sentire l’angoscia? Serve a migliorare la propria condizione accompagnare la rabbia con parole generiche, o con attrezzi che servono solo ai giornali per semplificare ancora di più “il popolo dei forconi” “l’esercito delle partite IVA” “la generazione precaria” ?
Continuo a pensare che serve a fare ammuina, che può scacciare l’angoscia per un momento ma non copre la debolezza delle critiche e delle proposte.
Eppure da parte degli studenti, e tanto per non lasciare sulle spalle degli studenti un fardello così pesante oltre a quelli che già sopportano, anche da parte di chi dovrebbe organizzare l’opposizione a questo mood da larghe intese che sembra paralizzare tutti, dalle organizzazioni sindacali alla rappresentanza politica e sociale che una volta si faceva forte della speranza che “un altro mondo è possibile”, ci sarebbero molte cose da contestare a cominciare dal’ipocrisia di un modello economico in crisi che fa intravedere la green economy come una possibile soluzione ma senza intaccare l’idea che è necessario un cambiamento di politica economica.
Sarebbe bastato contestare il logoro uso delle “best practices” che servono solo a non vedere la precarietà delle iniziative di green economy e l’opinabilità dei numeri relativi alla creazione di posti di lavoro, o la fatica di chi questi posti di lavoro li crea senza alcun sostegno reale da parte di Amministrazioni pubbliche che non riescono a mettere in campo politiche strutturali, scegliendo la strada degli incentivi dalle alterne fortune, nella migliore delle ipotesi, e che a pioggia vanno a premiare sempre gli stessi .
Nell’aula del sapere, e del dipinto “L’Italia tra le Arti e le Scienze” si sarebbe dovuto dire che la green economy può essere uno strumento soltanto se si investe in formazione e specializzazione, riconoscendo il sapere e la
competenza delle figure professionali che dovrebbero far funzionare il sistema economico green, e non soltanto a finanziare piccole lobbies che occupano le stanze e i corridoi
ministeriali.
Invece si sono contrapposti due rituali che non riescono più a dialogare, con il solito contorno di proteste urlate, bombe carta e manganelli.
Servirebbe un ministro dell’economia che parla di green economy, non come un
comparto economico, ma come di una reale scelta alla base di politiche economiche che individuano priorità e obiettivi, investendo
con coerenza e continuità nel campo della ricerca scientifica, della innovazione tecnologica e delle politiche industriali.
E’ vero che tra gli aspetti del destino “cinico e baro” di molti giovani c’è la via del lavoro all’estero, ma anche quella può essere un’occasione per andare a vedere cosa stanno realizzando
altre regioni europee in materia di trasformazione e rigenerazione urbana, di politiche dell’energia, di tutela e gestione del territorio e della biodiversità: in Italia le politiche
ambientali sono un complemento, o un colore, delle altre politiche.
E mentre i ragazzi si beccavano qualche manganellata politici , molto smart enumeravano le sfide dell’innovazione e della green economy, ma senza dimenticare le emergenze: ecco allora l’emergenza del dissesto idro-geologico, l’emergenza inquinamento atmosferico, l’emergenza rifiuti.
Non è un caso se, accanto a ogni emergenza, vi sia sempre la necessità di reperire competenze e professionalità che vanno a incrementare la sacca di precariato, che proprio nella Pubblica Amministrazione, è la cartina di tornasole della retorica sulla riforma che tutti invocano ma nessuno mette in campo per fare funzionare veramente queste Amministrazioni.
Come se ne esce? Forse semplicemente uscendo da questi luoghi asfittici…
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Elisa (martedì, 17 dicembre 2013 18:31)
bellissimo articolo - con un finale amaro... forse la soluzione è proprio la non soluzione e andare via