La questione di Pompei sta tutta nell'ampiezza del dibattito che si è sviluppato intorno, dibattito all'italiana, se volete. Dove tutti passano dallo stracciamento
delle vesti ai grandi proclami, in un giro vorticoso che alla fine ha prodotto leggi
tanto straordinarie quante inutili, alcune addirittura deleterie.
In preda alla sindrome dell'emergenza, che è l'unica manifestazione di produttività effettiva della classe politica, Pompei è stata vittima di una continua sperimentazione organizzativa dove l'unica costante è stata la sospensione dello stato di diritto, tramite ordinanze, decreti e commissariamenti, con i risultati che tutti possono verificare nelle cronache di questi tempi tristi. Per la stampa, si sa, Pompei tira più di un carro di buoi e quindi si precipitano ogni qualvolta c'è un acquazzone, quando si sbriciola un muro di terrapieno costruito negli anni venti. Ogni crollo diventa un motivo di amplificati allarmi pronti a farci fare l'ennesima figura di merda davanti al mondo. Io non voglio sottovalutare quello che succede e dirò la mia, ma i media riflettono spesso un antico vizio italico, quell'autolesionismo tipico di chi vive nella nebbia e a un certo punto si incazza e dice che c'è troppa nebbia, invocando misure straordinarie per diradarla. Ci accorgiamo che non c'è una abitazione a norma dopo terremoti i cui effetti vengono resi terrificanti dalla speculazione sul territorio che continua poi tranquilla a pascere, magari alimentandosi delle logiche che governano l'emergenza continua.
Pompei muore di emergenza: siamo passati dal commissariamento dei tempi in cui Bertolaso faceva l'Indiana Jones a quelli della direzione generale di progetto governata da un generale dei Carabinieri controllato da un Prefetto. Queste ultime due genialate motivate dalla fretta di spendere i 105 milioni generosamente donati dai fondi europei, e per fare l'ultima ci hanno messo 5 mesi. Intanto il 31 dicembre 2015 si appropinqua e i 105 milioni sono quasi tutti lì, a giustificare l'ennesima emergenza.
Pompei è sempre lì anche lei, per fortuna, e con essa i due milioni e mezzo di turisti mordi e fuggi che la visitano annualmente. Benefici per il territorio, zero.
Un sito fragile deve essere curato come un bambino, sbagliare cura, tempi e modi di intervento, non avere costanza nella manutenzione comporta un progressivo degrado. Dovrebbe essere Piccola Pompei, non Grande.
Per questo stiamo perdendo tempo in chiacchiere, evitando accuratamente di affrontare i veri nodi, che non riguardano i 105 milioni da spendere ma il fatto che la Piccola Pompei deve tornare a vivere, a ritrovare al suo interno la bellezza del lavoro quotidiano, fatto di un esercito di operai specializzati, di archeologi, di vigilanti, che curano quotidianamente, che sono in grado di intervenire senza bisogno di ordinanze ed apparati, semplicemente sono lì. Uomini che sono mano a mano scomparsi, non si trovano più manutentori, prima della legge speciale c'era un archeologo, uno. Inghiottiti dalle logiche di risparmio che oggi giustificano l'emergenza. Uomini invecchiati e sempre di meno, rimasti solo a vigilare impotenti il degrado.
La Piccola Pompei perde i suoi badanti, gli istitutori, i professori.
L'uomo è fondamentale: se lo perdi non lo rimpiazzi, va via un pezzo di ingranaggio fondamentale. È così il lavoro nei beni culturali: tutto dipende dal fattore uomo, dalla custodia al restauro, allo scavo allo studio e alla ricerca. Un privilegio: la manualità si coniuga con il pensiero teorico, e l'intreccio lo stabilisce il lavoro . Bellissimo.
Adesso francamente temiamo ancora: ardite sperimentazioni organizzative che ipotizzino altri modelli, altre sovrastrutture inutili. Ogni nuovo ministro che arriva giura su Pompei e si applica, inventa.
Ecco, vorremmo dire a Franceschini, riscopriamo quant'è piccola Pompei. Riempiamola di lavoratori che hanno il compito di curare, sorvegliare, studiare Pompei. Lavoratori dello Stato. Non ci vuole tanto, solo lo sforzo di comprendere che Pompei muore se muore il lavoro. Un progetto di riorganizzazione serio, occupazione buona e qualificata, una gestione trasparente e autonoma.
Solo un piccolo sforzo, ministro, al lavoro.
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