Se uno si mette a riguardare le cose che son successe dall'inizio della crisi ad oggi con particolare riferimento agli avvenimenti nel mondo del lavoro, si
troverebbe a sgranare un rosario con perline via via più pesanti e scure. A memoria non riesco proprio a farmi
venire in mente una buona notizia e se pure c'è stata mi appare sbiadita e lontana. Molto più forte si fa sentire l'aumento delle ore di cassa integrazione, le aziende che chiudono, i posti di lavoro bruciati. La crisi morde addirittura nel pubblico, tutto ciò che la destra al governo confezionò è stato confermato, prima dai governi tecnici e infine da quello dei 101 fucilatori di Bersani. Contratti non rinnovati da cinque anni, contrattazione di posto di lavoro resa impossibile, precariato che non trova soluzione , esuberi che si intravedono, trasferimenti forzati. Non so se manchi qualche cosa, di sicuro si, il quadro comunque non migliorerebbe. Ebbene, perchè non è scoppiata la rivoluzione?
Mi diceva un ex sindacalista dei pubblici che quando Berlusconi e Brunetta misero le mani negli occhi ai dipendenti pubblici, loro ci hanno provato a fare casino, hanno promosso pure degli scioperi da soli perchè allora sia la Cisl, sia la Uil erano piuttosto tiepide coi lavoratori e molto affiatate col governo. Niente, gli scioperi non riuscirono, i lavoratori non si ribellarono. La gran massa rimase ferma. I provvedimenti andarono avanti, a testimonianza che le mobilitazioni erano giuste possiamo oggi verificare, come la grande promessa di un pubblico impiego efficiente e moderno senza fannulloni, sia miseramente fallita. Se gli chiedi: potevate fare di più? Ti guarda un po' smarrito, annuisce ma non sa dirti niente di veramente concreto. Gli dici se la colpa è dei lavoratori che non li hanno seguiti, per la rabbia gli si accendono gli occhi poi, accesa la sigaretta, dice che la colpa non è neanche loro.
Secondo una lavoratrice, sempre dei pubblici, la colpa è dei sindacati che non hanno fatto abbastanza, prima li mette nello stesso pentolone, poi concede: certo la CGIL ha proclamato gli scioperi, ma gli scioperi non servono più, la gente non vuole perdere soldi. Se la incalzi e le chiedi cosa si poteva fare di più, rotea gli occhi perchè ci deve pensare, veramente non lo sa.
Il fatto ora per il settore pubblico è il seguente: alla legge Brunetta che vietava la contrattazione e a tutti i provvedimenti che hanno impedito gli aumenti di stipendio si somma la nuova riforma del governo Renzi: trasferimento forzato dei lavoratori nell'arco di cinquanta chilometri, nessuno spiraglio per aumenti economici contrattuali, dimezzamento dei permessi sindacali.
La colpa dunque è del mio amico sindacalista oppure della mia amica lavoratrice pubblica?
Domandiamoci prima di dare una risposta, se nel settore privato si sta tanto bene con sindacalisti diversi da quelli pubblici e con lavoratori che per definizione non sono fannulloni. Questa risposta è facile, non sta bene nessuno, non è un problema genetico.
Se uno mi dicesse che ci vuole un vero sciopero generale non saprei come guardarlo, forse da cronista porrei la seguente domanda: per cosa?
Pubblici fannulloni è una frase forte e accende l'immaginazione: ognuno ha conosciuto un lavoratore pubblico da eliminare. Meno vincoli alle imprese per favorire le assunzioni è una frase forte e accende l'immaginazione: il padrone è quello che dona il lavoro, non bisogna infastidirlo con lacci e lacciuoli. Lasciamo perdere che tutte e due le ricette sopra ricordate non hanno funzionato, il problema è che non è stata in campo seriamente nessuna altra proposta. La politica che ha deciso e che decide, ha prodotto queste fesserie e tutti ci hanno creduto compresi i lavoratori del pubblico e quelli del privato. A questo punto il problema è evidente: a quelli che lavorano serve un'idea che li unisca e non li faccia sentire soli e inutili. Quindi devono essere i lavoratori a tirar fuori le idee o i loro rappresentanti? Rinuncio alla risposta sull'uovo e sulla gallina, mi limito a sostenere che la discussione sulle forme di lotta e sull'apatia sociale viene dopo.
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mletizia (sabato, 28 giugno 2014 19:14)
L'apatia sociale nasce dalla irrilevanza della proposta sia politica che sindacale, non mi piace pesare le colpe un tanto al chilo, credo che rispetto al lavoro pubblico ci sia stato un ritardo di analisi e quindi conseguentemente un ritardo di strategia da mettere in campo rispetto alle trasformazioni che avvenivano. Brunetta e Berlusconi sono arrivati dopo, prima c'e' stato il blocco delle assunzioni aggirato con contratti a termine e consulenze, poi l'avvento delle societa' in house che hanno messo nelle mani della controparte un potere clientelare enorme, che ha diviso i lavoratori e che come sindacato (non mi chiamo fuori) non siamo riusciti a contrastare. Poi che i mancati rinnovi siano figli di passati rinnovi dove gli aumenti per la produttivita' non hanno prodotto miglioramenti reali? Poesse?
unonessunocentomila (domenica, 29 giugno 2014 13:53)
L'apatia sociale nasce, a mio parere, dalla mancanza di proposte, di progettualità. Cosa ha caratterizzato il movimento sindacale negli anni passati, se non la capacità di offrire prospettive?
Ebbene credo sia proprio questo il problema del sindacato, la sua incapacità di parlare onestamente e chiaramente con i lavoratori dicendo loro da cosa si parte per perseguire cosa.
I lavoratori ti seguono se mostri loro obiettivi realizzabili; se continui a dire, nel contesto dato, che vuoi i soldi per rinnovare i contratti non ti crede più nessuno.
Si poteva essere più realisti già diverso tempo addietro, ma non conveniva politicamente/sindacalmente a nessuno, meno che mai al quadro dirigente che nel tempo, e sempre più, ha rivolto molte delle sue energie nelle dispute interne fra camussiani e landiniani (dispute, ad onor del vero, qualche volta anche politiche e serie) o, ancor peggio, fra soggetti minori.
Certo che ad oggi, senza imputare alcuna responsabilità ai lavoratori, la situazione è molto complicata e delicata; pensare che da soli i lavoratori, senza alcuna forma di rappresentenza, possano difendersi e/o migliorare la propria condizione mi sembra pura utopia.
Resto convinto che più che mai oggi, pur nella sua debolezza, serva il sindacato; un sindacato diverso da quello che si vede e diverso al suo interno dove prevalgono solo pratiche caligoliniane.
Elisa (lunedì, 30 giugno 2014 12:15)
Se un palazzo crolla la responsabilità è quasi sempre sulle fondamenta e quasi mai dal tetto.
La base è fondamentale. E quindi bisogna chiedere alla base. Non ai dirigenti che sono lontani dai lavoratori e non hanno mai il quadro vero del problema.
Per far funzionare un ufficio bisogna chiedere a chi ci lavora da più anni e sa dove sono i problemi. Ma chi ascolta più la base?