La domenica era veramente un giorno speciale. Mi alzavo presto, arrivavo da Giovanni il pasticcere e compravo una confezione di Kinder, se avevo i soldi necessari prendevo la confezione grande,
altrimenti mi accontentavo del formato normale. Percorrevo i tre o quattrocento metri necessari col passo svelto, cercando quando c'era, lo spicchietto di sole delle otto di mattina. Il campo mi
si avvicinava passato il ponticello della ferrovia con il rumore delle voci che arrivava fino a me, ore 8,15 cominciano gli esordienti. Venti minuti a tempo. Poi i giovanissimi, guardavo i miei
amici giocare e morivo di invidia, li vedevo arrivare al campo concentrati, le loro borse tutte uguali, mi sembrava veramente una cosa bella la squadra del mio quartiere. Durante la settimana ci
parlavo di tutto con questi ragazzi ma la domenica, la domenica era dedicata a loro, alle scivolate, ai tiri, alle parate. Parolacce agli avversari, parolacce all'arbitro e incoraggiamento ai
nostri. Il momento più importante però arrivava dopo, quando in campo scendeva la prima squadra campionato di seconda categoria, partita annunciata sui muri da manifesti che nessuno si sognava di
coprire. Quelli si che erano eroi, per ognuno c'era il soprannome per ognuno il paragone con un campione di serie A oppure internazionale. Credo che ogni quartiere d'Italia abbia avuto il suo
Pelè, maglia numero dieci atteggiamento d'artista e poca voglia di correre in campo, in campo il Pelè di ogni quartiere d'Italia era l'artista, l'uomo del dribbling impossibile, del gol
tramandato, del rigore sbagliato. La magia finì ma forse finì è esagerato, quando cominciarono a venire a giocare nella squadra del nostro quartiere gli stranieri, ragazzi di altri quartiere
distanti magari tre, cinque chilometri. Era sempre la nostra squadra però non era più la stessa cosa, non potevi vedere i tuoi eroi durante la settimana ascoltare avido i racconti delle trasferte
in certi paesi che non avevi mai sentito nominare tipo Castel Madama, oppure di quartieri che per il nome che avevano ti facevano ridere, Torpignattara. I racconti degli assedi agli spogliatoi ti
arrivavano ovattati, per terze voci. Con gli stranieri si era persa l'immediatezza del racconto, pensavi che uno straniero non avrebbe veramente dato il sangue per la tua squadra. Gli stranieri
avevano senso per quelle squadre che facevano i campionati di altro livello, anche noi avevamo quelli veramente bravi che emigravano e anche loro erano i nostri eroi. Ci raccontavano di un altro
mondo, allora la serie D era una cosa speciale. “Quello gioca in serie D” quando passava calava il silenzio, se non era lui a parlare nessuno di noi ragazzini ci si avvicinava, stavamo ad
ascoltare quello che si diceva con gli adulti, materia per fantasticare e continuare a discutere fra noi. Lo scandalo delle scommesse mi colse che ero già disincantato, le mie fantasie avevano
preso altre strade, avevo lasciato il mio quartiere e non si riusciva neanche ad arrivare a ventidue per la partita scapoli ammogliati. I calciatori che si vendevano le partite non erano più i
miei eroi, la squadra del mio quartiere si barcamenava fra la terza e la seconda categoria, poi problemi burocratici ed economici misero fine alla sua gloriosa storia. Ora seguo il calcio quando
posso, sono un modesto tifoso se la mia squadra vince sono contento, se perde sono triste. Con moderazione a dire il vero, guardo le partite in televisione quando capita, non mi accendo mai
veramente. Adesso il calcio è molto diverso ma è rimasto comunque un culto, ancora ci si scontra con la polizia e con i tifosi rivali, nel nostro paese ancora si vendono i giornali esclusivamente
sportivi, in molte città ci sono radio esclusivamente dedicate ad una squadra o ad un'altra. Ora c'è Tavecchio che dice che uno che vendeva banane può giocare in serie A con la Lazio, c'è il
presidente della Lazio che sostiene che il Carpi o il Frosinone non possono arrivare in serie A, c'è Sacchi che si vergogna del suo paese perché ci sono troppi giocatori di colore nelle squadre
giovanili italiane, c'è infine Ancelotti che per difendere Sacchi pensando di citare Giulio Cesare tuona il mussoliniano “molti nemici, molto onore”. I nostri eroi si giustificano nelle maniere
più spettacolari: Tavecchio presidente di lega ha costruito gli ospedali in Africa, Sacchi ha avuto giocatori negri, Ancelotti cita Mussolini pensando fosse Giulio Cesare, Lotito ama il calcio ma
ancor di più i proventi delle vendite televisive. Fanno di tutto per non farci più vedere le partite. Il calcio è sempre stato pieno di personaggi bizzarri e divertenti, una cava di strampalati
ignoranti fra calciatori, allenatori e presidenti: quel certo presidente voleva comprare “l'amalgama” pensando fosse un calciatore, quel certo calciatore dovendo raggiungere la squadra, chiese un
biglietto per Atalanta e non per Bergamo. Era spettacolo non una tragedia ridicola.
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