Cercare di affermare la carta universale dei diritti dei lavoratori secondo me significa anche cercare i legami che ne rendano irreversibile la grande portata riformistica.
Non sono certo un teoreta o un mago, al negozio ci mettiamo gli occhiali per vedere da vicino e leggere tutti gli ingredienti che compongono il cibo che compriamo, del pesce la zona di caccia, se
c’è o no l’olio di palma. E’ giusto cavolo, mangio una cosa voglio sapere cosa c’è dentro, ho assistito a discussioni interessantissime, persone all’apparenza normali pronte a sciorinare
argomentazioni, studi scientifici e tabelle per dimostrare il bene o il male del glissillofosfatene 105. E’ giusto continuo a dire. Lo dico sul serio.
Di come vengano prodotte le cose che consumiamo non sappiamo l’essenziale, sappiamo come sono composte, sappiamo con quali macchine sono lavorate, sappiamo dove sono prodotte e sappiamo, al
buon cuore delle imprese, qualche altra informazione a scelta. Non sappiamo l’essenziale. Chi produce, in quali condizioni le merci che consumiamo?
Il discorso diventa ampio lo so, per questo confermo di essere una persona essenziale e mi limito all’essenziale.
Se voglio la carta universale dei diritti dei lavoratori devo fare in modo che non ci siano scappatoie ci deve essere una prova del nove, per me è la carta d’identità sociale della produzione dei
beni e dei servizi. Non sto parlando, come immediatamente capiranno gli scafati, di una novità. Anzi, un po’ mi vergogno pure, mi immagino i sorrisini, tuttavia mi sembra il caso di correr il
rischio dove rischio non c’è.
Primesima cosa: l’orizzonte è lo stesso della carta universale per i diritti dei lavoratori, se avanza una deve avanzare anche l’altra. C’è un prima o un dopo? No, partiamo da molto indietro, i
diritti dei lavoratori non sono parte del dibattito pubblico del nostro paese e così direi ad occhio in altri paesi. Diciamo che va bene anche il caos creativo ma prima si comincia e meglio
è.
Secundis cosa: sta carta sociale della produzione dei beni e dei servizi sarebbe alla fine una etichetta appiccicata al bene o al servizio con su scritto quale contratto di lavoro è stato
applicato. Per avere questa etichetta bisogna sottoporsi a qualche semplice controllo se lo superi vai sul mercato, se non lo superi non ci vai, se dici una bugia ci sono conseguenze.
Facciamo un esempio: il contratto della sanità privata non è rinnovato da dodici anni, le strutture che sono in questa condizione potrebbero ancora operare? No avrebbero delle conseguenze, fai
soldi con la salute della gente? Caro imprenditore delle cliniche, lo capisco, ma non puoi farlo facendo ammalare chi lavora con te. In quelle cliniche vorrei trovare un cartello insieme a quello
che indica il bar che dica: in ottemperanza alla carta universale dei diritti dei lavoratori si applica il contratto della sanità – senza aggettivi – per tutti quelli che vedete con camice
zoccoli bandana e carrelli delle pulizie.
La salute non può essere il prodotto di una speculazione, sono sicuro che guarisco meglio se quelli che mi prendono fra le loro mani hanno un giusto trattamento economico e normativo. Quale deve
essere questo trattamento? Lo decidono stipulando il contratto, non mi metterò a dire le condizioni, nessuna. Mi fido di chi lavora e di chi tratta.
Terzesima cosa: partiamo da zero? No. Sparse per il mondo ci sono diverse iniziative che vanno in questa direzione, la maggior parte hanno un’origine sopratutto etica legata alle condizioni di
lavoro in molte zone del mondo, penso ad esempio al settore tessile, posti dove non c’è neanche la contrattazione nazionale, posti dove il primo maggio è vietato, posti dove non è vietato il
lavoro minorile e le otto ore rappresentano solo una parte della giornata lavorativa. Mica sto dicendo che è una cosa facile, mica sto dicendo che basta uno schiocco di dita.
Quartesima e ultima consideration è un compito per il sindacato? Per il sindacato italiano? Diciamo intanto che il sindacato italiano la CGIL ha avuto il merito di tirar fuori la carta universale
dei diritti dei lavoratori lo ha fatto con una mobilitazione e ha raccolto più di un milione di firme. Quella mobilitazione può considerarsi conclusa con la presentazione della proposta di legge
di iniziativa popolare? No, la mobilitazione la chiudiamo quando si vince, direi che andrebbe ripresa fino ad imporla nel dibattito pubblico e a questo punto mettendoci sopra la storia della
carta sociale della produzione dei beni e dei servizi. Detto della CGIL dobbiamo essere onesti, sta roba è roba ad alto contenuto politico, ci vuole la politica. Comincerei dagli iscritti alla
CGIL che sono anche iscritti a qualche partito, possibile che fuori dalle cazzate non si riesca a discutere di niente? Ho parlato con Mamby, il quadro che mi ha fatto obiettivamente è desolante è
lui che mi ha fatto il sorrisino e poi mi ha ricordato che fare il crumiro è il crimine più grande. Insomma ci vuole la politica con una dimensione almeno europea e ci vuole il coraggio di
abbracciare una buona novella. Una grande campagna per dire che il mondo è cattivo ma che si può cambiare, non che è cattivo e ti devi vendicare. Otto ore di lavoro, otto ore di svago, otto ore
di riposo. Neanche la conquista delle otto ore fu facile, chi ci ha preceduto era forse più ambizioso di noi? Non avevano niente i pezzenti che hanno dato l’assalto al cielo, vogliamo
scoraggiarci?
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